Contrariamente
alla tradizione, a capo dei tre produttori d'auto americani
denominati “the big three” - Ford, General Motors e Chrysler –
oggi troviamo tre boss – Alan Mulally, Dan Akerson, Sergio
Marchionne - che non sono né “uomini dell'auto”, né manager con
una lunga storia nelle rispettive aziende.
Una
breve ma efficacie analisi degli loro stili è apparsa sul
settimanale britannico The Economist.
L'inserimento di
manager provenienti da settori diversi da quello dell'auto non sempre si è
rivelato essere una scelta fortunata: in tempi recenti
l'acquisizione di Ron Zarrella – proveniente da un produttore di
lenti a contatto – come capo della divisione Nord America della GM
e il breve regno di Bob Nardelli a capo della Chrysler (Nardelli
veniva da una catena di negozi fai-da-te) sono stati – al contrario
- due esempi di storie di insuccesso.
Fanno eccezione,
per l'appunto, i capi supremi delle “tre grandi”, nonostante le
nette differenze che contraddistinguono i loro stili di management.
L'ingegnere di
Oakland (California) Alan Mulally proviene dal produttore di
aeroplani Boeing, ha preso posto come presidente e CEO di Ford Motor
Company nel settembre 2006, succedendo al bis-nipote del fondatore
(Henry Ford), William Clay Ford junior.
Lo stile di Mulally, secondo
l'autorevole settimanale, è quello del “cheerleader esigente”:
grandi sorrisi ed abbracci, grande rigore e responsabilizzazione,
spinge a dare il meglio di sé stessi per ottenere approvazione.
Proviene da una
società di telecomunicazioni il boss di GM, Dan Akerson (anche lui
californiano di nascita), ma ha un passato da ex-ufficiale di marina,
e si vede.
Il “management degli ordini urlati” è lo stile che
contraddistingue il ruvido manager, dai modi gelidi.
Attenzione per i dettagli, disciplina, ordine, sono i punti di forza di questo modello: si racconta che abbia interrotto una riunione per raccogliere un pezzo di stoffa da terra.
Non aspettarti
alcun abbraccio è il consiglio che The Economist si sente di poter dare.
A capo della più
piccola delle tre grandi troviamo l'italo-canadese Sergio Marchionne, il quale precedentemente aveva lavorato per il Gruppo SGS (servizi di ispezione, verifica e certificazione). Esponente del “management a spasso”, sempre in viaggio, vestito
informalmente, appare improvvisamente in fabbriche ed uffici Chrysler
o Fiat in giro per il mondo, per sistemare problemi al volo.
Una
sorta di micromanager, nel bene e nel male. O un manager fai-da-te,
aggiungiamo noi, una specie di Sergio the Builder, caratteristica
(forse) necessaria per gestire un'azienda come la Fiat.
Chi dei tre è
destinato ad entrare nell'Olimpo dei grandi dell'auto? Secondo il
giornale inglese non ci sono dubbi, è Mulally, l'uomo che ha
permesso a Ford di ritornare in salute senza ricorrere né alla
bancarotta, né a pesanti aiuti da parte del governo.
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